In data 26 ottobre 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare su proposta del ministro dell’Ambiente Corrado Clini un provvedimento per l’individuazione delle condizioni di utilizzo dei combustibili solidi secondari(CSS) in parziale sostituzione di quelli tradizionali in cementifici soggetti al regime dell’autorizzazione integrata ambientale. Cosa significa? Che le ecoballe dei rifiuti che ancora giacciono in attesa di smaltimento ora saranno smaltite come combustibile nei cementifici. Il comunicato di Palazzo Chigi sottolinea che il regolamento del CSS è parte essenziale nel processo di politica ambientale e per assolvere gli impegni internazionali in materia di energia ed ambiente, nonché raggiunge il fine della gestione corretta e sostenibile dei rifiuti. Peccato che i cementifici non sono stati progettati per lo smaltimento delle ecoballe, altrimenti non si comprenderebbe la creazione dei termovalorizzatori. Inoltre qualsiasi elemento che brucia emette fumi e polveri pertanto resta il dubbio che i cementifici abbiano quelle caratteristiche
tecniche per evitare l’emissione in atmosfera di fumi dannosi alla salute dei cittadini che abitano in quella zona. Premesso che i cementifici sono considerati industria insalubre di classe 1, la cosa da non sottovalutare è che i limiti di legge per le emissioni dei cementifici sono enormemente superiori rispetto a quelli degli inceneritori tenendo conto che le emissioni generalmente non provengono da rifiuti ma dal materiale utilizzato alla produzione del cemento. Più precisamente considerando solo gli NOx (tutti gli ossidi di azoto e le loro miscele.), per un inceneritore il limite di legge è 200 mg/Nmc mentre per un cementificio è tra 500 e 1800 mg/Nmc quindi fino a nove volte maggiore. Il limite giornaliero per le emissioni di particolato è di 50 μg/m3 e tale limite non può essere superato per più di 7 giorni all’anno dal primo gennaio 2010 (DM 2 aprile 2002, n.60 allegato III). È stato calcolato che le concentrazioni medie di particolato in prossimità di un cementificio variano da 350μg/m3 (un Km dall’impianto) a 200μg/m3 (a 5 Km dall’impianto) e che la maggior parte delle particelle emesse hanno dimensioni nanometriche e sono dunque estremamente rischiose per la salute umana. I sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l’utilizzo di CDR nei cementifici può consentire una riduzione dell’uso di combustibili fossili pertanto una riduzione della produzione di CO2 (Anidride Carbonica). Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di CO2 rispetto ad un inceneritore. Mentre si tiene ad evidenziare la minore produzione di diossine grazie alle elevate temperature raggiunte nei forni dei cementifici rispetto ai classici inceneritori, le diossine sono tra i veleni più pericolosi in circolazione in quanto non sono biodegradabili, accumulandosi nel suolo, nella catena alimentare e negli organismi viventi cui possono svilupparsi tumori maligni (principalmente linfomi e sarcomi), difetti di sviluppo del feto e varie alterazioni ormonali e metaboliche. Da considerare anche che la “scomparsa” delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione sarà possibile grazie al suo inglobamento nel clinker prodotto (materiale laterizio ottenuto con la cottura delle materie prime a temperature molto elevate, ndr) con il suo carico “nascosto” di pericolosi inquinanti in contrasto con i propositi di sostenibilità. Una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento. Pertanto chi sbandiera la sostenibilità ambientale e la sicurezza sanitaria dovrebbe percorrere altre e più proficue strade.
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