Definizione di Rifiuto
Si definisce "rifiuto" qualsiasi sostanza od
oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A (alla Parte
Quarta del D.Lgs. 152/06) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l'obbligo di disfarsi.
Secondo questa definizione, la distinzione tra ciò che è un
rifiuto e ciò che non lo è dipende dalla sussistenza di due circostanze: la
sostanza o l'oggetto deve rientrare nell'elenco dell'Allegato A e che chi la
detiene intenda o debba disfarsene. La mancata presenza di una o dell'altra
sarebbe sufficiente per escludere che si tratti di un rifiuto. In realtà
l'elenco delle categorie richiamato qui sopra è molto sintetico (infatti vi
sono soltanto 16 categorie) e generico (come ad esempio le voci "Residui
di produzione o di consumo in appresso non specificati" oppure
"Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie
sopra elencate). Ne deriva che qualunque cosa può far parte dell'elenco e
perciò l'appartenenza ad esso non è più una circostanza da verificare per
determinare se una sostanza od un oggetto possa essere considerato o meno un
rifiuto. In altri termini, la distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non
lo è, è tutta legata al concetto di "disfarsi", il quale può
diventare un criterio di non univoca applicazione nelle "ipotesi di
confine", cioè quando si ha a che fare con residui e scarti, per lo più di
lavorazione, reimpiegati come materie prime in altri processi produttivi.
I "Non-Rifiuti"
Il D.Lgs. 152/2006 contiene anche alcune disposizioni per
l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali alcune tipologie di materiali di risulta non vengono classificati come rifiuti. Tali disposizioni sono essenzialmente costituite dalle definizioni di:
l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali alcune tipologie di materiali di risulta non vengono classificati come rifiuti. Tali disposizioni sono essenzialmente costituite dalle definizioni di:
- Materia Prima Secondaria (MPS)
- Sottoprodotto
- Prodotto di Recupero
nonchè dalla regolamentazione del riutilizzo delle terre e
rocce da scavo.
Materie Prime Secondarie (MPS)
In base all'art. 181-bis, introdotto dal
"correttivo" dell'aprile 2008, le materie prime secondarie (e le
sostanze e i prodotti secondari) verranno definite ed individuate con apposito
decreto ministeriale nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni:
a) siano prodotti da
un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le
caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;
c)siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo
o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed
alle condizioni di esercizio delle stesse;
d)siano precisati i criteri di qualità ambientale i
requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in
commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo
conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti
dall'utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto
secondario;
e)abbiano un effettivo valore economico di scambio sul
mercato. (art. 181-bis, comma 1)
Al momento, in via transitoria ed in attesa dell'emanazione
del previsto decreto ministeriale di cui sopra, ai fini delle materie prime
secondarie si continuano ad applicare:
•le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio
1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269, che individuano i
prodotti di recupero rispettivamente da rifiuti non pericolosi, rifiuti pericolosi
in generale e rifiuti pericolosi prodotti dalle navi (art. 181-bis, comma 3)
•la circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999,
prot. n. 3402/V/MIN, in particolare nella parte in cui precisa che sono materie
prime secondarie o comunque non rifiuti tutti i materiali, le sostanze e gli
oggetti...purchè abbiano le caratteristiche delle materie prime secondarie
indicate nel D.M. 5 febbraio 1998 e siano direttamente destinate in modo
oggettivo ed effettivo all'impiego. (art. 181-bis, comma 4)In sostanza, fatto
salvo quanto verrà stabilito da un futuro decreto ministeriale, non sono
rifiuti tutte le sostanze e materiali che presentino le caratteristiche dei
prodotti di recupero individuati dalle vigenti norme tecniche sul recupero in
regime semplificato (D.M. 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161 e 17 novembre
2005, n. 269), non solo quando derivano da operazioni di recupero di rifiuti,
ma anche in ogni altro caso in cui comunque possiedano tali caratteristiche.
Prodotti di Recupero
Il D.Lgs. n. 152/2006 precisa che sono "prodotti"
e non sono più rifiuti gli "ex-rifiuti" per i quali:
•siano state completate le operazioni di recupero (art. 181,
comma3), fermo restando che:
•i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere
materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l'ottenimento di
materiali con caratteristiche (che verranno) fissate con il Decreto del
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare...di concerto
con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico (art.
181-bis, comma 2) e che,
•fino all'emanazione di tale decreto, continuano ad
applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12
giugno 2002, n. 161 e 17 novembre 2005, n. 269 (art. 181-bis, comma 3) nonchè
la circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN
(art. 181-bis, comma 4) Quest'ultima disposizione sta a precisare che, in
attesa del previsto decreto ministeriale, sono comunque non-rifiuti, ma
prodotti di recupero tutti quelli individuati come tali dalle vigenti norme
tecniche per il recupero in regime semplificato dei rifiuti non pericolosi
(D.M. 5 febbraio 1998), dei rifiuti pericolosi (D.M. n. 16/2002) e dei rifiuti
prodotti dalle navi (D.M. n. 269/2005). Dette norme tecniche, infatti,
individuano per ogni tipologia di rifiuto recuperabile in regime semplificato:
•la provenienza;
•le caratteristiche;
•il processo di recupero;
•l'esito del recupero, ossia le caratteristiche delle
materie prime e/o dei prodotti ottenuti.
Sottoprodotti
L'art. 183, comma 1, lett. p) definisce sottoprodotti:
le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non
intende disfarsi ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), che
soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni:
1)siano originati da un processo non direttamente destinato
alla loro produzione;
2)il loro impiego sia certo, sin dalla fase della
produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di
produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito;
3)soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale
idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti
ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati
per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati;
4)non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a
trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità
ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase
della produzione;
5)abbiano un valore economico di mercato.
La nuova definizione di sottoprodotto, introdotta con il
"correttivo", a differenza di quella originaria, non prevede tra i
presupposti il fatto che si tratti di materiali che scaturiscono in maniera
continuativa dal processo industriale (il sottoprodotto può quindi anche essere
ottenuto in modo discontinuo), nè la condizione che l'utilizzo venga attestato
"tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal
titolare dell'impianto dove avviene l'effettivo utilizzo".
A supporto della sopraccitata definizione di sottoprodotto è
utile sottolineare che anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea abbia
ripetutamente precisato che "in determinate situazioni, un bene, un
materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di
fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non
tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non cerca di
"disfarsi", ma che essa intende sfruttare o commercializzare a
condizioni per essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare
trasformazioni preliminari. Non vi è, in tal caso, alcuna giustificazione per
assoggettare alle disposizioni della detta direttiva - che sono destinate a
prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti - beni, materiali o materie
prime che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti,
indipendentemente da qualsiasi trasformazione" (sentenza 8 settembre 2005
C-121/03)
Terre e Rocce da Scavo
La disciplina delle terre e rocce da scavo, introdotta dalla
legge 21 dicembre 2001, n. 443, e poi ampliamente rivista con il D.Lgs. n.
152/2006, è stata ulteriormente (e completamente) riformulata in sede di
"correttivo", a seguito del quale l'art. 186 ora dispone:
•da un lato che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie
(non sono più considerati "i residui della lavorazione della pietra"
come figuravano nel testo originale del D.Lgs. 152/2006), ottenute come
sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti ,
rimodellazioni e rilevati, purchè sussistano determinate condizioni
puntualmente elencate al comma 1 del medesimo art. 186;
•dall'altro (ultimo periodo del comma 1) che l'impiego di
terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei
materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all'art.
183, comma 1, lett. p), lettera che per l'appunto, fissa le condizioni
ricorrendo le quali un materiale è definito sottoprodotto.Premesso che è
totalmente escluso dall'ambito di applicazione della Parte Quarta del D.Lgs.
152/2006 (non è comunque un rifiuto), il suolo non contaminato e altro
materiale allo stato naturale escavato nel corso dell'attività di costruzione,
ove sia certo che il materiale sarà utilizzato ai fini di costruzioni allo
stato naturale nello stesso sito in cui è stato scavato (voce aggiunta
all'elenco delle esclusioni con legge n. 2/2009), per la destinazione delle
terre e rocce di scavo a reinterri, riempimenti, rilevati, prima condizione,
necessaria, ma non sufficiente è che
•sia accertato che le stesse non provengano da siti
contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica (art. 186, comma1, lett.e))
A tal fine:
•l'accertamento che le terre e rocce da scavo non provengano
da tali siti è svolto a cura e spese del produttore (art. 186, comma 6).
La sussistenza dei requisiti richiesti, compresa la certezza
dell'utilizzo, ed i tempi dell'eventuale deposito temporaneo devono essere
indicate:
•nel progetto sottoposto a VIA, se l'opera per la quale
viene effettuato lo scavo è soggetta a VIA;
•nella richiesta di permesso di costruire o nella
Dichiarazione di Inizio Attività (DIA), se l'opera non è sottoposta a VIA.
Solo per i lavori pubblici è considerato il caso che l'opera
non sia sottoposta nè a VIA, nè a permesso , nè a DIA.
Rispetto a quanto era originariamente previsto dal D.Lgs. n.
152/2006, ora, a seguito del "correttivo":
•la destinazione delle terre da scavo va sempre e
compiutamente definita prima di attuare lo scavo e l'unica autorità competente
a ricevere la relativa documentazione è quella preposta a valutare ed assentire
l'opera per la cui esecuzione vengono scavate le terre e rocce;
•non è più previsto il parere dell'ARPA, quanto meno non è
più previsto che l'interessato debba acquisire un parere dell'ARPA;
ed inoltre:
•nulla si dice per le terre derivanti da opere non
sottoposte ad alcuna autorizzazione, salvo si tratti di opere pubbliche;
•resta ferma la previsione di un (futuro) decreto
ministeriale di semplificazione per i cantieri di piccole dimensioni (6.000
mc), non essendo intervenuta alcuna variazione dell'art. 266, comma 7.
Esclusioni
In base all'art. 185, comma 1, del D.Lgs. 152/2006,
modificato dal D.Lgs. 4/2008, non rientrano nel campo di applicazione della
Parte Quarta del D.Lgs. medesimo e sono pertanto espressamente esclusi dalla
disciplina generale della gestione rifiuti:
a)le emissioni in atmosfera, ossia gli effluenti gassosi (i
quali sono disciplinati nella Parte Quinta del medesimo D.Lgs. 152/2006
"Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in
atmosfera");
b)le acque di scarico (la cui disciplina è contenuta nella
Parte Terza, Sezione Seconda, sempre del D.Lgs. 152/2006 "Tutela delle
acque dall'inquinamento"), eccettuati i rifiuti allo stato liquido, che,
come tali restano sottoposti alla disciplina dei rifiuti;in sintesi, la
distinzione tra scarico idrico e rifiuto liquido è essenzialmente data dalla
stabilità o meno della "condotta che lega l'origine del refluo con la sua
destinazione: è uno scarico liquido (disciplinato quindi dalla Parte Terza,
Sezione Seconda del D.Lgs. 152/2006) l'acqua usata convogliata al suo destino
finale (fiume canale, lago, mare, fognatura) tramite un'opera fissa; è un
rifiuto liquido invece l'acqua usata se trasferita all'impianto di trattamento
tramite autobotte.
c)i rifiuti radioattivi;
d)gli esplosivi in disuso;
e)i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione,
dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle
cave;
f)le carogne, i materiali fecali ed altre sostanze naturali
e non pericolose utilizzate nell'attività agricola;
g)i materiali vegetali, le terre ed il pietrame non
contaminati provenienti dalla manutenzione di alvei di scolo ed irrigui;
h)il suolo non contaminato e altro materiale allo stato
naturale escavato nel corso dell'attività di costruzione allo stato naturale
nello stesso in cui è stato scavato (secondo quanto specificato dalla legge 28
gennaio 2009, n.2, di conversione del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185)
Sono altresì esclusi in base a comma 2 del medesimo art.
185, ma solo se qualificabili ed utilizzabili come sottoprodotti ai sensi
dell'art. 183, comma1, lett. p):
-i materiali fecali e vegetali provenienti da attività
agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o
interaziendali per produrre energia, calore o biogas;
-i materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto
forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli
e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi;
-le eccedenze derivanti dalle preparazioni di cibi solidi,
cotti o crudi, destinate, con specifici accordi, alle strutture di ricovero di
animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281.
Alcuni dei "rifiuti" esclusi dal campo di
applicazione della Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006 restano sottratti da ogni
altra forma di disciplina; è il caso dei rifiuti reimpiegati nelle normali
pratiche agricole, ovvero dei materiali litoidi. Altri, invece, sono sottoposti
ad altre normative che ne disciplinano l'eliminazione in modo specifico ed in
alcuni casi ben più rigoroso (emissioni in atmosfera, scarichi idrici, rifiuti
radioattivi e gli esplosivi).
Altre Definizioni
Oltre alla definizione di rifiuto, materia prima secondaria,
sottoprodotto, l'art. 183 contiene altre numerose definizioni quali:
•"Produttore": la persona (fisica o giuridica) la
cui attività ha prodotto rifiuti, cosiddetto <>, nonchè anche la persona (fisica o giuridica) che ha
effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che
hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti (art. 183, lett. b));
•"Detentore": il produttore di rifiuti o la
persona fisica o giuridica che li detiene (art. 183, lett. c));
•"Gestione": la raccolta, il trasporto, il
recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste
operazioni, nonchè il controllo delle discariche dopo la chiusura (art. 183,
lett. d));
•"Smaltimento": le operazioni previste nell'
Allegato B alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006 (art. 183, lett. g));
•"Recupero": le operazioni previste nell'Allegato
C alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006 (art. 183, lett. h));
•"Luogo di produzione dei rifiuti": uno o più
edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno
di un'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali
originano i rifiuti (art. 183, lett. i));
•"Deposito Temporaneo": il raggruppamento dei
rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono
prodotti (art. 183, lett. m)) e nel rispetto di specifiche e dettagliate
condizioni (definite nella medesima lett. m) ed in particolare ai punti 1 e 2).
Classificazione dei Rifiuti e corretta attribuzione del
Codice Identificativo
I rifiuti sono classificati (art. 184, comma 1, del D.Lgs.
n. 152/2006):
•secondo l'origine in:
-rifiuti urbani
-rifiuti speciali
•secondo le caratteristiche di pericolosità in:
-rifiuti non pericolosi
-rifiuti pericolosi
La distinzione tra i rifiuti urbani e i rifiuti speciali ha
effetti:
•sui regimi autorizzatori ed abilitativi in genere;
•sugli obblighi di registrazione e comunicazione annuale;
•sull'individuazione del soggetto che ha il compito di
provvedere al loro smaltimento.La distinzione tra rifiuti pericolosi e rifiuti
non pericolosi ha effetti:
•sui regimi autorizzatori ed abilitativi in genere;
•sugli obblighi di registrazione e comunicazione annuale;
•sul divieto di miscelazione;
•sul sistema sanzionatorio.
Le varie tipologie di rifiuti sono poi codificate in base
all'elenco europeo dei rifiuti - cosiddetto CER - di cui alla decisione
2000/532/CE e successive modifiche ed integrazioni riprodotto nell'Allegato D
alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006.
Rifiuti Urbani
Sono rifiuti urbani (art. 184, comma 2 del D.Lgs. 152/2006):
a)i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da
locali e luoghi adibiti a civile abitazione;
b)i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi
adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti
urbani per quantità e qualità; l'assimilazione è disposta dal Comune in base a
criteri fissati in sede statale;
c)i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
d)i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti
sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette
ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi
d'acqua;
e)i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali
giardini, parchi ed aree cimiteriali;
f)i rifiuti da esumazioni ed estumulazioni, nonchè gli altri
rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di sui alle
lettere b), c) ed e).
Rifiuti Speciali
Sono rifiuti speciali (art. 184, comma 3 del D.Lgs.
152/2006):
a)i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b)i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione,
costruzione, nonchè i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo,
fermo restando che le terre e rocce da scavo non sono rifiuti ove ricorrano
determinate condizioni (dettagliatamente stabilite dall'art. 186);
c)i rifiuti da lavorazioni industriali;
d)i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e)i rifiuti da attività commerciali;
f)i rifiuti da attività di servizio;
g)i rifiuti derivanti da attività di recupero e smaltimento
di rifiuti, da potabilizzazione ed altri trattamenti delle acque, da
depurazione delle acque reflue e delle emissioni in atmosfera;
h)i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i)i macchinari e le apparecchiature deteriorate ed obsolete;
l)i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e le loro
parti;
m)il combustibile derivato da rifiuti (CDR).
Rifiuti Urbani per Assimilazione
Come si è visto, "urbani" sono in primo luogo i
rifiuti domestici, ossia i rifiuti <>, mentre sono speciali in particolare quelli
provenienti da attività economiche (rifiuti agricoli, industriali, artigianali,
da commercio e servizi).
Sono rifiuti urbani anche <> (art. 184, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 152/2006).
In base al richiamato art. 198, comma 2, lett. g):
•i comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti
urbani con appositi regolamenti che stabiliscono in particolare
l'assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai
rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all'art. 195, comma 2, lett. e);
quest'ultimo come modificato dal correttivo a sua volta prevede che
•sono inoltre di competenza dello Stato la determinazione
dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della
raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani, con la
precisazione che però:
-non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si
formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di
prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli
spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al
pubblico
-allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani
che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai
limiti di cui all'art. 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 114
del 1998, ossia con superficie superiore a 450 m2 nei comuni con meno di 10.000
abitanti ed a 750 m2 negli altri comuni.
I previsti criteri statali di assimilazione debbono essere
fissati con apposito decreto ministeriale, nelle more dell'emanazione del quale
continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 18, comma 2 lettera d)
e 57, comma 1 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che a loro volta
prevedevano l'emanazione di un apposito d.m. (peraltro mai emanato) e nelle
more, l'applicazione delle previgenti disposizioni in materia (art. 57).
A tutt'oggi, quindi, sono ancora quelli di cui al D.P.R. n.
915 del 1982 e relative norme di attuazione i criteri di assimilazione sulla
base dei quali i comuni possono stabilire che , ai fini della raccolta e dello
smaltimento (quindi obbligo di conferimento al servizio pubblico ed
assoggettamento alla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani di cui all'art.
238 del D.Lgs. 152/2006), determinati rifiuti non domestici di provenienza
agricola, industriale, artigianale, commerciale e di servizi sono assimilati
agli urbani divenendo rifiuti urbani ad ogni effetto.
Rifiuti Speciali assimilabili agli Urbani
La categoria dei rifiuti assimilati agli urbani, ovvero
degli urbani per assimilazione, non va confusa con quella dei rifiuti speciali
che, pur rimanendo tali, possono, per libera scelta di chi li ha prodotti o
comunque li detiene, essere conferiti, in base ad apposita
convenzione-contratto, al gestore del servizio pubblico ove lo stesso offra
tale servizio.
Infatti è espressamente prevista tra le opzioni date al
produttore di rifiuti speciali, per assolvere ai propri obblighi, quella del
conferimento dei rifiuti a soggetti che gestiscono il servizio di raccolta dei
rifiuti urbani, con il quale sia stata stipulata apposita convenzione (art. 188, comma 2,
lett. c)), in alternativa con l'autorecupero o autosmaltimento, al conferimento
ad imprese specializzate ed autorizzate e alla esportazione (come ultima
istanza).
Perciò non vanno confusi i "rifiuti urbani per assimilazione"
ed i rifiuti speciali che, restando tali, il gestore del servizio pubblico ha
la facoltà di raccogliere (ed il produttore di conferirgli), chiaramente sul
presupposto che siano compatibili e consimili ai rifiuti urbani. Per tali
rifiuti non è dovuto il pagamento della "tariffa" venendo il
corrispettivo stabilito nella convenzione da stipularsi tra il gestore del
servizio e l'utente.
Rifiuti Pericolosi
Di norma sono pericolosi i rifiuti non domestici che
nell'elenco dei rifiuti di cui all'Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs.
152/2006, ossia nel comunemente detto CER, sono contrassegnati con un asterisco
(art. 184, comma 5 del D.Lgs. 152/2006).
Se però in tale Allegato il rifiuti è identificato come
pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose e
come non pericoloso in quanto diverso da quello pericoloso ("voce a
specchio"), esso è classificato come pericoloso solo se tali sostanze
raggiungono determinate concentrazioni.
Nell'introduzione all'elenco dei rifiuti è infatti precisato
che:
•i rifiuti contrassegnati nell'elenco con un asterisco
"*" sono rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 91/689/CEE
relativa ai rifiuti pericolosi e ad essi si applicano le disposizioni della
medesima direttiva (quindi quelle sui rifiuti pericolosi contenute nella Parte
Quarta del D.Lgs. 152/2006), a condizione che non trovi applicazione l'articolo
1, paragrafo 5 (ossia a condizione che non siano rifiuti domestici), ma
•se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante
riferimento specifico o generico a sostanze pericolose e come non pericoloso in
quanto diverso da quello pericoloso, esso è classificato come pericoloso solo
se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni, venendo a tal fine
precisato che le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 si applicano i valori
limite di cui al punto 4, mentre le caratteristiche H1, H2, H9, H13 e H14 non
devono essere prese in considerazione , in quanto mancano i criteri di
riferimento sia a livello comunitario che nazionale.
Valori Soglia per la classificazione dei rifiuti
identificati come pericolosi mediante riferimento specifico o generico a
sostanze pericolose
-punto di
infiammabilità ≤ 55
°C
-una o più sostanze
classificate come molto tossiche in concentrazione totale ≥ 0,1
%
-una o più sostanze
classificate come tossiche in concentrazione totale ≥ 3 %
-una o più sostanze
classificate come nocive in concentrazione totale ≥ 25 %
-una o più sostanze
corrosive classificate come R35 in concentrazione totale ≥ 1 %
-una o più sostanze
corrosive classificate come R34 in concentrazione totale ≥ 5 %
-una o più sostanze
irritanti classificate come R41 in concentrazione totale ≥ 10 %
-una o più sostanze
irritanti classificate come R36, R37, R38 in concentrazione totale ≥ 20 %
-una sostanza
riconosciuta come cancerogena (categorie 1 o 2) in concentrazione ≥ 0,1
%
-una sostanza
riconosciuta come cancerogena (categoria 3) in concentrazione ≥ 1 %
-una sostanza
riconosciuta come tossica per il ciclo produttivo (categorie 1 o 2)
classificata come R60 o R61 in concentrazione
≥ 0,5 %
-una sostanza
riconosciuta come tossica per il ciclo produttivo (categorie 3) classificata
come R62 o R63 in concentrazione
≥ 5 %
-una sostanza
mutagena della categoria 1 o 2 classificata come R46 in concentrazione ≥ 0,1
%
- una sostanza mutagena della categoria 3
classificata come R40 in concentrazione ≥ 1%
Attribuzione del Codice Identificativo
Tutti i rifiuti devono essere codificati in base al vigente
Elenco Europeo dei Rifiuti (CER) riprodotto anche nell'Allegato D alla Parte
Quarta del D.Lgs. 152/2006.
Dato che la classificazione dei rifiuti come pericolosi o
meno dipende in primo luogo da come sono contemplati nell'elenco di cui
all'Allegato D, l'attribuzione del codice è presupposto e condizione per la
classificazione. Pertanto riassumendo:
•i rifiuti identificati con codici senza asterisco non sono
mai classificabili pericolosi;
•se il rifiuto (non domestico) nel CER è contrassegnato con
l'asterisco ed è descritto con riferimento a sostanze pericolose, tale rifiuto
è pericoloso solo se la o le sostanze pericolose sono presenti in
concentrazioni che superano le soglie
stabilite; in caso contrario non è pericoloso
e deve essere attribuito un altro codice non contrassegnato da
asterisco;
•se il rifiuto è contrassegnato con l'asterisco, ma non è
descritto con riferimento a sostanze pericolose, tale rifiuto è sempre
pericoloso.
Elenco Europeo dei Rifiuti
L'elenco o catalogo europeo dei rifiuti è suddiviso in venti
capitoli, ciascuno dei quali è a sua volta suddiviso in un numero variabile di
sottocapitoli, nell'ambito dei quali sono individuati ed elencati i singoli
tipi di rifiuti. Vedi l'elenco completo dei Codici CER.
Criteri di attribuzione del codice
Ai fini della corretta attribuzione del codice (codice a sei
cifre delle quali le prime due individuano il "capitolo", le seconde
due il "sottocapitolo" e le ultime due lo specifico rifiuto
rientrante in un determinato "sottocapitolo"di un determinato
"capitolo"), il punto 3 dell'introduzione al vigente elenco, ovvero
all'Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006, fissa i seguenti criteri:
1)identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i
titoli dei capitoli da 01 a 12 e da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre
riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli
che terminano con le cifre 99;
2)se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20
si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i
capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto;
3)se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre
definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16;
4)se un determinato rifiuto non è classificabile neppure
mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non
altrimenti specificati) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde
all'attività identificata al precedente punto 1.
I criteri sopra riportati non sempre però sono perfettamente
idonei e sufficienti ad orientare una corretta ricerca del codice. Va infatti
osservato come i venti capitoli in cui è articolato l'elenco abbiano un
contenuto alquanto disomogeneo. Se è vero che in linea di massima i capitoli da
01 a 12 e da 17 a 20, sui quali deve in primo luogo essere orientata la
ricerca, sono identificativi di "fonti" generatrici di rifiuti, per
certo i capitoli 13, 14 e 15, sui quali, stando alle istruzioni date, solo in
seconda battuta si dovrebbe ricercare il codice, invece identificano specifiche
famiglie di rifiuti: olii, solventi, imballaggi. Quindi non si vede per quale
motivo, se il rifiuto da codificare è inequivocabilmente un olio minerale o
sintetico usato, oppure un solvente o un imballaggio, si dovrebbe comunque
prima esplorare il contenuto dei capitoli
da 01 a 12 e da 17 a 20 (col rischio di attribuire un codice inesatto)
invece di prendere direttamente in considerazione il capitolo specifico.
FONTE
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